Il primo strumento del musicista

L’ho detto e lo ripeto: il primo strumento del musicista, al di là di qualsiasi retorica, è il suo corpo. Non importa quanto costosa sia la nostra strumentazione o quanto studiamo, sono l’efficienza e l’abilità del nostro corpo che, in ultima istanza, determinano quanto siamo bravi e dove possiamo arrivare.
Vorrei notare che qui primo significa almeno due cose:

  • primo in senso temporale: la generazione del suono parte dal corpo. Tutti i musicisti di alto livello sono riconoscibili per il proprio suono, quale che sia lo strumento che utilizzano in un dato momento. Date ad Eric Clapton una Eko da cento euro, e suonerà come una Strato degli anni ’60. Lo stesso valeva per Pastorius, per Miles Davis, per Benedetti Michelangeli;
    .
  • primo in senso gerarchico: le caratteristiche di progettazione e di funzionamento del nostro corpo (cioè in ultima analisi di noi) e la sua ottimizzazione sono prioritarie rispetto alle corrispondenti caratteristiche dello strumento musicale che utilizziamo.

Da quando ho capito che la mia più grande passione nella vita è aiutare le persone (e, per quanto ci riguarda qui, i musicisti) a migliorare la propria performance, ho cominciato un percorso che mi ha aiutato a capire certe cose che andrebbero secondo me messe a fondamento di qualsiasi ipotesi di miglioramento o perfezionamento. In questo articolo vorrei esporle brevemente.

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Il linguaggio per parlare del corpo del musicista

Jimi Hendrix VitruvianoUna delle prime esigenze della comunicazione è stabilire un linguaggio comune.
In questo sito faremo spesso riferimento a parti del corpo e soprattutto ai loro movimenti reciproci: ci serve un modo per comprendere immediatamente ciò di cui si parla, senza fraintendimenti e con la massima chiarezza.
Quando gli interlocutori non sono viso a viso, questa esigenza è ancora più stringente.

Questo articolo fa il paio con uno che ho pubblicato qualche tempo addietro sul sito gemello di Virtuosissimo, Performance Engineering. Chi sia interessato al mondo della performance, ed al fitness più in generale, troverà quell’articolo qui.

In quella sede scrivevo, tra l’altro:
“Una delle difficoltà maggiori che il divulgatore trova rivolgendosi per iscritto ad un pubblico lontano è costituita dall’ambiguità delle descrizioni: se è facile mostrare un movimento o una posizione a chi ci vede, molto più complesso è descriverli a parole, soprattutto quando l’ambiguità intrinseca dei termini non sia stata risolta.
Naturalmente anche la scienza ha dovuto affrontare il problema della comunicazione; lo ha risolto con la definizione di un lessico il meno possibile ambiguo, e il più possibile accurato”.

Non mi aspetto che un articolo del genere sia letto come un testo divulgativo (fatto salvo lo zoccolo duro degli stakanovisti puri ;D). Costituirà però un utile riferimento per i discorsi futuri, al quale potrete fare riferimento per risolvere ogni apparente ambiguità di linguaggio o di concetti.
Andiamo a cominciar!

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La performance tecnica del musicista

A differenza di altri esseri viventi cosiddetti a sangue freddo, i mammiferi – esseri umani compresi – godono della straordinaria proprietà di poter esprimere, se opportunamente preparati, straordinari picchi di prestazione.

In effetti molte delle attività di noi umani – al pari di tantissimi altri fenomeni naturali – hanno un andamento dalla caratteristica forma a campana o gaussiana (chi sia interessato ad approfondire l’argomento in relazione alla performance umana troverà altri approfondimenti in Performance Engineering.org, il sito gemello di Virtuosissimo.com. Vi basta seguire il link).

Quello che serve sapere al musicista è che (a differenza ad esempio dei rettili) non riusciamo ad esprimere subito il nostro massimo appena cominciata una performance. E questo vale che si tratti di una sessione di studio o di esercizio, un concerto, o anche un’intera carriera dedicata alla musica: la prestazione, se preparata opportunamente, sarà molto superiore che all’esordio.

In molti ci avrete fatto caso: appena cominciamo a suonare il nostro rendimento non è alto come – ad esempio – dopo una mezz’ora che suoniamo. Questo è del tutto fisiologico, e con opportune tecniche il musicista esperto diventa sempre più bravo a portare il top della sua prestazione là dove è richiesto. Di tutto questo ci occuperemo nel nostro percorso tecnico.

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Le qualità neuromotorie del musicista

Alla base di ogni performance artistica c’è sempre il corpo: quello dell’artista, che agisce e crea la performance, e quello degli altri, presente o evocato.

Quali che siano il proprio coinvolgimento emotivo, le doti interpretative e le conoscenze filologiche, un musicista che esegue un brano sfrutta sempre certe qualità corporee di base. Alcune di queste vengono utilizzate con intensità differenti a seconda dello strumento usato, del brano, della velocità del metronomo, ma sono tutte, sempre, presenti.
Vediamo oggi quali sono le più importanti, con la promessa di tornare su ciascuna con metodi ed esercizi specifici quando servirà.

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